Assemblea Costituzione 28 Gennaio 2016 - Intervento iniziale

L’incontro di questa sera ha uno scopo concreto, costituire il Comitato per il No alla riforma costituzionale, raccogliere adesioni, darsi un minimo di organizzazione, pensare a iniziative pubbliche.

Permettetemi però di ricordarci brevemente le ragioni profonde del nostro NO.

Accettando l’etichetta che ci viene affibbiata di conservatori, quasi fosse in insulto, considero invece questa etichetta un vanto.
Siamo i conservatori della costituzione, siamo quelli e quelle del 2006. Siamo quelle e quelli che già nel 2006 vinsero il referendum contro il tentativo berlusconiano e leghista di stravolgerla, quelli e quelle che già allora dissero che la nostra Costituzione non deve essere stravolta, ma attuata nei suoi principi fondamentali, a partire dalla dichiarazione che il potere appartiene al popolo e dal diritto al lavoro. Noi siamo quelli. 

Abbiamo vinto una volta. Ancora una volta tocca a noi, alla fatica di ognuno di noi cercare di fermare con il nostro NO una legge del governo molto pericolosa per gli equilibri istituzionali, una legge che cancella e riscrive 41 articoli sui 139 della Costituzione del 1948. Quasi un terzo.

Una riforma costituzionale che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale sull’incostituzionalità dl Porcellum non avrebbe dovuto nemmeno essere presentata in questa  legislatura. La Consulta ebbe infatti a precisare che, essendo incostituzionali le norme con cui l’attuale parlamento era stato eletto, le Camere avrebbero potuto continuare ad operare grazie ad un principio implicito – il «principio fondamentale della continuità dello Stato» – ma limitato nel tempo, per quella che possiamo definire l’ordinaria amministrazione, una prorogatio, prevista nell’art.61 della Costituzione, non superiore ai tre mesi.

Una riforma che si comprende solo  innestandola in un disegno complessivo il cui perno non è tanto la legge costituzionale quanto la legge elettorale, senza la quale la riforma dl senato non  sarebbe servita  a raggiungere il vero obiettivo:  verticalizzare il potere e gestirlo  senza ostacoli e limiti  da parte di nessuno,  cittadini  compresi.

Un nuovo Senato,  mal costruito, cui sono affidate  funzioni importanti di carattere costituzionale, non   più eletto dal popolo nonostante l’ambigua formula “in conformità al volere dei cittadini”.

Una Camera non più rappresentativa dominata da una maggioranza artificiale creata alterando  l’esito del voto, possiamo dire un governo della minoranza in grado di controllare le stesse istituzioni di garanzia. Il tutto senza  adeguati pesi e contrappesi politici e istituzionali, essenziali a una democrazia costituzionale.

Chi difende la riforma non si stanca di ripetere che non viene toccata la forma di governo, ma nell’intreccio tra riforma e Italicum assistiamo nei fatti a come, senza che si muti la lettera del testo costituzionale, si arrivi all’abbandono della forma di governo parlamentare  stabilita nella Costituzione:  attraverso il ballottaggio infatti si arriva  in modo traverso all’elezione diretta del Premier, cui diventa facile attribuire al voto popolare il valore di un’investitura personale,  anziché presentare il ballottaggio per ciò che dovrebbe essere:  la  fase terminale  di un procedimento finalizzato ad eleggere i membri della Camera dei deputati.

L’attuazione della prima parte dl nostra Costituzione affidata ad una Camera non rappresentativa dl volontà degli elettori, composta in gran parte da nominati e un Senato trasformato in un dopolavoro che può però fare leggi costituzionali, eleggere 2 su 5 membri della Consulta, eleggere il Presidente della Republica.

Forse c’è qualcosa d’altro dietro a questi mutamenti istituzionali cui dobbiamo prestare attenzione: le cosiddette riforme cui abbiamo assistito in questi mesi, oltre a quella del Senato e all’Italicum, quella della scuola, del lavoro, della pubblica amministrazione, della RAI si muovono tutte nel segno di un concentramento del potere sull’esecutivo e sulla persona del leader; vanificano la rappresentanza politica, tentano di imbavagliano il dissenso, relegando di fatto il parlamento in un ruolo marginale.

E allora forse vale la pena di ricordare quanto scrissero nel giugno 2013 gli economisti del gigante finanziario JP Morgan quando affermarono che la crisi economica dei paesi del Sud Europa dipendeva non solo da elementi di natura economica, ma anche di natura politica individuati, guarda caso nl loro costituzioni, e cito, “I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea.
Individuavano altri ostacoli, e cito, nelle tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; e nl licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo.”

Anche per questo quindi oggi ci proponiamo di costituire il Comitato per il No a difesa della Costituzione antifascista.

Gisella Bottoli

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